La recensione di Rambo: Last Blood, l’addio malinconico di Sylvester Stallone al suo iconico perssonaggio John Rambo.
Sylvester Stallone ritorna nelle sale cinematografiche nei panni di uno dei suoi personaggi più iconici, che 37 anni fa lo catapultò tra le stelle del cinema internazionale. Un ruolo che ha contribuito a definire una carriera e che ha dato vita a un franchise divenuto culto: quello del veterano di guerra John Rambo. Con Rambo: Last Blood, il celebre attore dice addio a questo amato reduce, in un capitolo finale che sorprende per la sua riflessività e maturità emotiva, segnalando una rottura rispetto alle caratteristiche adrenaliniche e istintive che hanno sempre contraddistinto la saga.
Il quinto capitolo della serie si distacca nettamente dai suoi predecessori, in cui l’azione era la protagonista indiscussa, per lasciare spazio a una vendetta pianificata con calma glaciale, il cui impatto è ancor più devastante della violenza fisica che ha caratterizzato gli episodi precedenti. Tuttavia, quello che davvero emerge con forza in Rambo: Last Blood non è tanto l’azione, ma le emozioni, la malinconia e il tormento interiore di un uomo che ha vissuto una vita segnata dalla guerra e dalla perdita. Rambo non è più l’eroe che lottava solo contro i suoi nemici, ma un uomo in lotta con se stesso, ossessionato dal ricordo di chi ha amato e protetto. Le rughe che segnano il suo volto raccontano una vita piena di dolore e sacrificio, mentre il suo sguardo stanco scruta il ranch isolato in cui ha cercato di trovare una pace che sembra ormai un’utopia irraggiungibile.
Dopo aver affrontato innumerevoli nemici in Vietnam, Afghanistan e Birmania, Rambo si trova ora a dover combattere contro un nuovo male, più subdolo e devastante: il cartello della droga messicano, coinvolto in traffico di esseri umani e sfruttamento minorile. In questa nuova lotta, la brutalità del protagonista emerge con tutta la sua forza, ma la scena è dominata dalla solitudine che Rambo prova, un vuoto interiore che sembra crescere con ogni battaglia vinta e con ogni vita persa. Le terre desolate e i luoghi degradati che fanno da sfondo al film rispecchiano il suo stato emotivo, segnato dal passare degli anni e dalle cicatrici lasciate dalle esperienze passate.
Tuttavia, il film non riesce sempre a mantenere il ritmo e l’intensità che ci si aspetterebbe da un capitolo finale di una saga tanto leggendaria. La narrazione a tratti lenta e dilatata sembra appesantire l’emotività del racconto, riducendo l’impatto di alcune sequenze che avrebbero guadagnato dall’aggiunta di un po’ di quella frenesia che ha sempre reso unici i film di Rambo. Nonostante ciò, la vera e propria stretta al cuore arriva solo nella scena finale, un momento che ripercorre le tappe più significative della saga, regalandoci uno sguardo commosso e struggente su un John Rambo stremato, che finalmente sembra aver trovato una sua conclusione, anche se tragica.
Diretto da Adrian Grunberg, Rambo: Last Blood non è sicuramente il film che i fan si aspettavano, ma nonostante le sue imperfezioni, non scalfisce l’epicità di una serie che ha segnato una parte fondamentale della storia del cinema d’azione. Il personaggio di Rambo, come la sua interpretazione da parte di Stallone, rimarranno nel cuore di molti come simbolo di un’epoca e di un tipo di cinema che, sebbene cambiato, non potrà mai essere dimenticato. Un addio emozionante, che riserva la sua vera forza nell’introspezione di un eroe ormai consumato dal tempo e dalla guerra.
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Emanuela Giuliani
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