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Robert Eggers: l’autore che trasforma il passato in incubo

Robert Eggers trasforma passato e mito in horror sensoriale, costruendo mondi storici e inquietanti dove paura e cultura si intrecciano.

Immaginate di camminare tra boschi nebbiosi, ascoltare leggende antiche e sentire il passo della storia sotto i vostri piedi. È in questo mondo sospeso tra realtà e mito che cresce Robert Eggers: nato a New York nel 1983 e trasferitosi presto nel New Hampshire, trascorre l’infanzia immerso nella natura e nelle storie che essa custodisce—miti locali, leggende folkloriche e racconti spaventosi del New England rurale.

Un immaginario, il suo, che si forma nel teatro come regista, scenografo e costumista, dove plasma la sua attenzione alla materialità degli oggetti, ai tessuti, all’architettura, alla luce naturale, alla disposizione dello spazio, e la sua capacità di costruire mondi. Dal teatro impara a creare scenari a partire dalla fisicità dello spazio e dalla relazione tra personaggi e ambiente, che nel cinema diventa un’ossessione per il realismo storico e per la costruzione totale delle ambientazioni. Eggers non è un cineasta “nato con la macchina da presa”, ma un autore artigianale che considera la messa in scena non una cornice, ma il cuore pulsante della narrazione.

Dall’horror storico al mito universale

Dal suo esordio, Robert Eggers si distingue come un autore capace di unire rigore storico e intensità emotiva. The Witch (2015) segna l’ingresso di un regista già sicuro della propria visione: la vita di una famiglia puritana nel 1630 è ricostruita con precisione quasi documentaria, ma questa stessa accuratezza diventa strumento di inquietudine crescente. In Eggers, la paura non è mai un artificio narrativo: è una condizione culturale e spirituale.

Con The Lighthouse (2019) Eggers supera il confine del realismo, addentrandosi nel mito e nella psicosi. Girato in bianco e nero granuloso, con un formato che richiama i primordi del cinema, racconta l’isolamento estremo di due uomini su un’isola. Realtà, delirio e superstizione si mescolano in un incubo teatrale, dove fotografia e suono disorientano lo spettatore.

The Northman (2022) segna invece un’espansione ambiziosa: un budget maggiore e un cast internazionale non alterano il metodo di Eggers. La storia di vendetta del principe Amleth, immersa nella brutalità e spiritualità norrena, viene trattata con lo stesso rigore filologico. L’autore trasforma il mito in esperienza sensoriale, violenta e coerente con l’immaginario vichingo.

Infine, Nosferatu (2024) conferma Eggers come regista visionario e coerente. Rivisitando un’icona del cinema mondiale, rifiuta l’ironia e il modernismo, scegliendo un’estetica gotica dove l’Europa ottocentesca diventa teatro di un orrore solenne e malinconico. Il film rappresenta l’apice del suo amore per il folklore e il cinema classico, reinterpretati con sensibilità moderna e personale.

L’arte di costruire mondi

Il cinema di Robert Eggers si regge sull’autenticità storica, atmosfera sensoriale e fusione tra realtà e mito. La sua idea di autenticità non si limita a oggetti scenici o costumi filologicamente corretti: Eggers ricostruisce un intero modo di percepire il mondo, un universo mentale e sensoriale che appartiene all’epoca raccontata. Gli attori vengono istruiti a parlare con linguaggi arcaici, assumere posture e gesti dimenticati, persino modulare i propri ritmi respiratori secondo i codici del tempo. Ogni dettaglio fisico diventa parte integrante della narrazione: la macchina da presa non crea il mondo, lo rivela, come se spettatori e personaggi condividessero lo stesso spazio e la stessa epoca.

La luce naturale, in particolare quella tremolante delle candele, diventa un vero marchio di fabbrica: illumina volti, oggetti e ambienti con una fisicità che rende lo spettatore parte del quadro. Il suono—scricchiolii del legno, vento tra gli alberi, versi animaleschi, il battito incessante delle onde—trasforma lo spazio in un organismo vivo e minaccioso. In questo cinema, il soprannaturale non irrompe dall’esterno: è una proiezione delle paure, delle superstizioni e dei desideri umani, un’estensione organica della cultura e del pensiero dell’epoca.

La tensione si costruisce lentamente: dai gesti rituali alla disposizione dei corpi nello spazio, dalle parole sussurrate agli oggetti quotidiani carichi di significato. Eggers non ha bisogno di jump scare o effetti immediati; la paura nasce dall’armonia inquietante tra estetica, suono e cultura, mostrando l’orrore come fenomeno mentale e collettivo, un riflesso dei timori, delle credenze e delle ossessioni di una società intera.

Isolamento, mito e violenza

I film di Robert Eggers esplorano con intensità la fragilità dell’identità umana quando viene collocata in contesti estremi, dove la ragione vacilla e il confine tra realtà e soprannaturale si dissolve. Religione, superstizione e mitologia non sono mai semplici scenografie: diventano linguaggi attraverso cui i personaggi interpretano il mondo, strumenti per tentare di comprendere il destino, la sofferenza e le forze invisibili che regolano la loro vita. Eggers mostra un universo in cui le credenze collettive modellano l’esperienza quotidiana, dove paura e mito sono sempre intimamente intrecciati.

L’isolamento, sia fisico che mentale, è uno dei temi centrali. Famiglie puritane abbandonate nella foresta in The Witch, due uomini intrappolati su un faro battuto dalle tempeste in The Lighthouse, guerrieri esiliati o cacciati dalle proprie terre in The Northman, o giovani donne sedotte da forze che incarnano desiderio e colpa, diventano esempi di come la solitudine amplifichi la vulnerabilità e dissolva la razionalità.

In tutti questi casi, Eggers mostra come la distanza dal mondo conosciuto crei un terreno fertile per incubi, deliri e visioni: l’isolamento diventa catalizzatore di psicosi, amplificando la tensione tra mente e natura, tra coscienza e istinto. Nei suoi film, l’elemento naturale non è mai neutro: boschi, mare, venti e tempeste assumono una presenza quasi cosciente, che reagisce alla paura e alle emozioni dei protagonisti.

La violenza, anch’essa costante, non è mai spettacolarizzata o gratuita, ma nasce dalla sopravvivenza, dai rituali, dalla religione e dal destino. Nei mondi di Eggers, l’umanità è guidata da credenze, doveri e paure pre-moderne, lontane dalle psicologie contemporanee: i personaggi reagiscono secondo codici culturali e morali che oggi sembrano remoti, ma che allora regolavano la vita e la morte. Il sacrificio—simbolico, spirituale o fisico—si presenta spesso come momento culminante, rivelando la tensione tra individuo e ordine cosmico, tra desiderio personale e legge divina.

In The Northman, ad esempio, la vendetta è trattata come obbligo morale e rituale, intrecciando brutalità fisica e necessità spirituale; in Nosferatu, il male stesso richiede un prezzo, e il sacrificio diventa un atto inevitabile in una realtà implacabile.

Un altro aspetto ricorrente è la crisi dell’identità, spesso innescata dall’incontro con forze incomprensibili o con miti viventi. Nei film di Eggers, l’individuo non è mai completamente autonomo: il sé è sempre interconnesso con l’ambiente, con la comunità e con l’ordine simbolico dell’epoca. La paura emerge quindi come fenomeno culturale e collettivo, non solo personale: ciò che terrorizza i personaggi è anche ciò che la società teme, venera o proibisce. L’orrore diventa così un’esperienza condivisa, un ponte tra passato e spettatore moderno, in cui mito, isolamento e violenza si intrecciano in un ciclo ineluttabile di destino e credenza.

Attraverso questi temi Eggers dipinge un’umanità arcaica, fragile e in balia di forze superiori, immersa in mondi in cui paura, mito e violenza non sono elementi accessori, ma componenti essenziali della vita stessa, strumenti per raccontare la tensione tra l’uomo e il suo destino, tra individuo e ordine cosmico. Il suo cinema rivela così non solo storie di paura, ma anche profonde riflessioni sull’essere umano e sul rapporto tra cultura, natura e soprannaturale.

Una voce controcorrente

Oggi Eggers è tra i registi che hanno ridefinito l’horror e il cinema storico. Ha riportato al centro il cinema artigianale, dove la ricostruzione del passato è esperienza immersiva, non sfondo scenico. Ha dimostrato che rigore filologico e intensità emotiva possono coesistere, conquistando anche un pubblico ampio.

La sua influenza si nota nell’attenzione crescente verso l’horror atmosferico e simbolico e nella disponibilità degli studi a finanziare film d’autore ambiziosi. In un panorama dominato da franchise e formule consolidate, Eggers resta una forza controcorrente, capace di evocare mondi remoti, culture scomparse e paure primordiali.

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Emanuela Giuliani


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