Shining di Kubrick esplora l’orrore psicologico, tra follia, simbolismo e inquietante isolamento nell’Overlook Hotel.
Nell’inquietante silenzio dell’Overlook, la follia si insinua più rapidamente del gelo dell’inverno. Shining (1980) trasporta lo spettatore in un viaggio allucinante nella mente umana. Tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King del 1977, il film non è una semplice trasposizione letteraria: Stanley Kubrick, insieme a Diane Johnson, costruisce una rielaborazione intensa e ossessiva, capace di esplorare le sfumature psicologiche e simboliche della storia, più che spiegare razionalmente i fenomeni soprannaturali.
La vicenda segue la famiglia Torrance – Jack, Wendy e il piccolo Danny – durante il loro isolamento invernale nell’imponente e labirintico hotel tra le montagne del Colorado. Danny, dotato del misterioso dono della “luccicanza” (the shining), percepisce pericoli futuri e presenze oscure che lentamente trascinano Jack in una spirale di follia profonda. Tra corridoi senza fine e stanze che sembrano vivere di vita propria, Kubrick crea un’opera che inquieta, affascina e lascia lo spettatore sospeso tra realtà e incubo.
La psicologia al posto del soprannaturale
La trasposizione cinematografica di Shining si distacca significativamente dal romanzo di Stephen King. Kubrick riduce le spiegazioni esplicite degli eventi soprannaturali, lasciando volutamente vaghi e ambigui molti elementi presenti nel libro. Il film privilegia invece il lato psicologico: ciò che angoscia non è tanto il soprannaturale, quanto la lenta disgregazione mentale dei personaggi, soprattutto quella di Jack.
L’Overlook smette di essere un semplice luogo infestato per diventare uno specchio delle paure e dei traumi interiori dei suoi ospiti, un simbolo denso di ambiguità e significati nascosti. Kubrick rielabora inoltre la narrazione originale, modificando o eliminando sequenze e personaggi per concentrare l’attenzione su suspense e tensione psicologica.
Il risultato è un tipo di orrore sottile e penetrante: un terrore più mentale che visivo, capace di insinuarsi nella mente dello spettatore con una forza silenziosa e irresistibile.
Lo sguardo ossessivo
Kubrick trasforma la sceneggiatura in un linguaggio visivo rigoroso e ossessivo, dove ogni inquadratura è studiata con precisione geometrica. L’uso pionieristico della Steadicam permette di seguire i movimenti di Danny e Jack lungo i corridoi dell’hotel, creando una sensazione di spazio infinito e costante disorientamento.
L’architettura dell’Overlook contribuisce a questo effetto: volutamente incoerente, con corridoi labirintici, scale che cambiano direzione e spazi che sfidano la logica. L’hotel diventa così un personaggio a sé, inquietante e imprevedibile.
La cura nella simmetria e nella composizione geometrica delle inquadrature accentua l’effetto ipnotico e ossessivo del film. Le linee prospettiche e le strutture centrate rispecchiano la progressiva discesa nella follia dei personaggi, creando un ordine apparente che contrasta con il caos psicologico interno. Kubrick non racconta soltanto la storia: la fa vivere nello spettatore attraverso uno stile visivo perturbante e coerente con il terrore mentale di Shining.
L’orrore che si ascolta
In Shining, l’orrore non passa solo dalle immagini: Kubrick costruisce terrore anche attraverso musica e suono, trasformandoli in strumenti narrativi essenziali. Brani originali si alternano a composizioni d’avanguardia di Ligeti, Penderecki e Wendy Carlos, accentuando dissonanze e tensione e avvolgendo lo spettatore in un’atmosfera costantemente inquietante.
Il suono diventa parte integrante della narrazione: non accompagna solo le immagini, ma amplifica paura e ansia, sostituendo talvolta il dialogo come veicolo di emozione. Ogni rumore, ogni nota stridente costruisce un’angoscia profonda, insinuandosi nella mente dello spettatore con forza silenziosa e inesorabile.
Psiche, famiglia e soprannaturale
Shining esplora l’orrore non solo attraverso eventi soprannaturali, ma soprattutto attraverso la psiche dei personaggi e le dinamiche familiari. La follia e l’autodistruzione emergono in Jack, la cui discesa psicologica, alimentata dall’isolamento e dai traumi personali, diventa un inquietante ritratto della fragilità umana.
L’infanzia e l’innocenza trovano voce in Danny, simbolo di vulnerabilità e saggezza intuitiva. Grazie al suo dono della “luccicanza”, percepisce pericoli e verità nascoste, contrapponendo la purezza infantile alla corruzione del mondo adulto.
La famiglia e la violenza domestica costituiscono un altro tema centrale: l’Overlook diventa teatro di tensioni crescenti, dove i legami familiari si trasformano in strumenti di terrore.
Infine, il soprannaturale e l’inconscio rendono l’hotel più di un semplice luogo infestato: è metafora dei traumi nascosti, delle ossessioni e dei desideri repressi. Kubrick lascia spazio all’interpretazione dello spettatore, trasformando ogni stanza, corridoio e apparizione in un simbolo ambiguo e perturbante che parla direttamente alla psiche.
Un classico immortale dell’horror psicologico
All’uscita, Shining suscitò reazioni contrastanti: la critica si divise e Stephen King si dichiarò deluso dalle modifiche apportate al suo romanzo. Col tempo, tuttavia, il film ha raggiunto la consacrazione definitiva, diventando un punto di riferimento imprescindibile per l’horror psicologico e un modello di perfezione tecnica nel cinema.
Sequenze come le gemelle nel corridoio, l’ascensore di sangue o il celebre “Here’s Johnny!” sono entrate nell’immaginario collettivo, simboli indelebili di terrore e genialità cinematografica.
La sceneggiatura di Shining non è una semplice trasposizione letteraria: è un’opera autonoma, dove linguaggio cinematografico, simbolismo e psicologia prevalgono sul racconto lineare. Kubrick dimostra come sceneggiatura e regia possano fondersi perfettamente, trasformando Shining in un viaggio inquietante nella mente umana e nelle sue paure più profonde.
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Emanuela Giuliani






