Sorry, Baby, la sceneggiatura del film debutto di Eva Victor: intimo e ironico su trauma, memoria e guarigione.
C’è un momento, dopo un trauma, in cui il tempo sembra fermarsi: il mondo va avanti, ma tu resti indietro, e Sorry, Baby, esordio di Eva Victor, nasce esattamente da quella sospensione che trasforma in racconto cinematografico, intimo e sorprendentemente ironico, sul difficile percorso per riprendersi il proprio potere.
Scritto e diretto da Eva Victor, il film ha convinto fin dalla sua anteprima al Sundance Film Festival, dove ha vinto il Waldo Salt Screenwriting Award. Il percorso è poi proseguito alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes, prima dell’acquisizione da parte di A24. Da allora, Sorry, Baby ha continuato a ottenere riconoscimenti, tra cui una nomination ai Critics Choice Awards per la miglior sceneggiatura originale. Victor, già nota per Billions, ha inoltre ricevuto una nomination ai Golden Globe ed è in corsa agli Independent Spirit Awards per Miglior Film, Sceneggiatura e Regia.
Scritto durante il lockdown in una baita nel Maine, il film segue Agnes, una giovane donna che vive isolata vicino a un college del New England, lo stesso luogo in cui un tempo condivideva la vita universitaria con la sua compagna di stanza Lydie (Naomi Ackie). Oggi tutti se ne sono andati, tranne Agnes, rimasta sospesa tra un passato irrisolto e un futuro che fatica a iniziare, proprio mentre sta per ottenere un incarico da professoressa nel dipartimento in cui ha studiato.
La ragione di questa immobilità emerge gradualmente: in quel luogo è avvenuta la “cosa brutta”, un’aggressione sessuale da parte del suo relatore di tesi (Louis Cancelmi). Un atto che Victor sceglie di non mostrare mai, trasformandolo invece in una presenza silenziosa e persistente che definisce l’esperienza di Agnes, e sposta lo sguardo dal trauma al su eco, lungo e difficile da dissipare.
Attraverso una struttura frammentata e non lineare, il film, la cui sceneggiatura grazie a Deadline potete leggere qui: SORRY, BABY, si muove tra prima, durante e dopo, facendo ricorso a un umorismo nero e spiazzante per immergere lo spettatore nella mente della protagonista. Agnes convive con il ricordo come con uno spettro: arriva persino ad accettare un incarico universitario che la colloca simbolicamente al posto del suo aggressore, fuggito dopo l’accaduto, occupandone l’ufficio e lo spazio. Accanto a lei, però, ci sono figure che provano a tenderle la mano: Lydie, ora a New York con un figlio, e un vicino gentile e un po’ innamorato (Lucas Hedges), che incarnano possibili vie di uscita dall’isolamento emotivo.

“Mi sono ritrovata a scrivere il film di cui avevo bisogno in un momento in cui stavo attraversando una crisi simile a quella di Agnes”, ha raccontato Victor. “Non volevo parlare di violenza in senso stretto, ma del modo in cui una persona guarisce. Mi interessava quella sensazione di essere bloccati, mentre le persone che ami vanno avanti. Ho iniziato a scrivere questo film per la persona che ero allora”. Non sorprende, quindi, che la sceneggiatura sia rimasta sorprendentemente fedele alla sua prima stesura.
A sostenere Victor nel suo debutto c’è stata anche Pastel, la casa di produzione di Barry Jenkins, Adele Romanski e Mark Ceryak, che ha creduto nel progetto e l’ha incoraggiata non solo a scrivere e interpretare la storia, ma anche a dirigerla. Il risultato è un film delicato e profondamente personale, capace di parlare di dolore senza compiacimento e di guarigione senza retorica, restituendo complessità e dignità a un percorso spesso raccontato in modo semplicistico.
Sorry, Baby non è soltanto un debutto promettente: è la dimostrazione che raccontare la fragilità può essere, a tutti gli effetti, un atto di forza.






