La sceneggiatura di The Danish Girl racconta arte, identità e amore attraverso gesti, silenzi e profonde emozioni.
Tra coraggio, arte e identità, The Danish Girl racconta una storia che sfida il tempo e le convenzioni. Diretto da Tom Hooper, il film segue la vita di Lili Elbe e Gerda Wegener, due artisti danesi tra Copenaghen e Parigi negli anni Venti, esplorando con delicatezza e profondità la transizione di genere di Lili. Non si tratta soltanto di una biografia: la sceneggiatura di Lucinda Coxon trasforma il romanzo di David Ebershoff in un’opera autonoma, poetica e intima, capace di dare voce a una pioniera dell’identità trans. Il film occupa una posizione rara: racconta una vicenda storica attraverso la lente della psicologia e dell’arte, evitando i cliché della spettacolarizzazione cinematografica e costruendo un’esperienza empatica che accompagna lo spettatore nel percorso emotivo dei protagonisti.
Affrontando un materiale complesso con sensibilità, Coxon privilegia la verità emotiva rispetto alla cronaca, rendendo The Danish Girl un racconto sull’identità, sull’amore che cambia forma, sull’arte come specchio dell’anima e sul coraggio di trasformarsi nonostante le convenzioni sociali. La narrazione è un ponte tra storia e contemporaneità, e invita a riflettere su quanto il desiderio di autenticità e il bisogno di riconoscimento siano universali e senza tempo.
Ripensare la storia per raccontare la verità interiore
Partendo dal romanzo di Ebershoff, Coxon mette in luce le tensioni dell’epoca: i tabù della medicina, il ruolo dell’arte come spazio di libertà e la complessità psicologica dei protagonisti. Lili Elbe, una delle prime persone al mondo a sottoporsi a interventi chirurgici di riassegnazione di genere, diventa il nucleo emotivo e simbolico della narrazione. La sua esperienza non è raccontata come un evento straordinario o sensazionale, ma come una progressiva scoperta di sé che coinvolge corpo, mente e anima.
La sceneggiatura rifiuta la spettacolarizzazione: Lili non è un caso clinico né un oggetto di curiosità. La sua trasformazione emerge attraverso gesti quotidiani—la scelta del trucco, l’attenzione agli abiti, la pronuncia del proprio nome—momenti apparentemente semplici che assumono un peso emotivo straordinario. Coxon costruisce così una narrazione che mostra come l’intimità possa diventare un atto di resistenza in un mondo che non ha ancora parole per definire l’identità trans.
Parallelamente, la sceneggiatura dipinge la cultura degli anni Venti: una Danimarca relativamente progressista ma ancora rigidamente strutturata secondo ruoli di genere, un mondo artistico liberale ma pieno di giudizi e un sistema medico impreparato a riconoscere identità non conformi. Ogni elemento storico diventa cornice emotiva: il film suggerisce che la battaglia di Lili non è solo personale, ma politica, culturale e sociale, anticipando dibattiti contemporanei sui diritti e sulla visibilità delle persone trans.
Il tempo come strumento di introspezione
La sceneggiatura adotta un ritmo meditativo, che permette allo spettatore di seguire la trasformazione interiore dei personaggi senza ricorrere a colpi di scena eccessivi. Sequenze apparentemente semplici—la posa per Gerda, il ballo in un locale, la passeggiata in abiti femminili o il primo confronto con il mondo esterno—diventano tappe fondamentali di un percorso psicologico complesso. Coxon utilizza il tempo come strumento di introspezione: ogni scena lascia respirare le emozioni, ogni silenzio comunica tensione, paura e desiderio di autenticità.
Le città assumono un valore simbolico: Copenaghen, elegante e ordinata, riflette la rigidità sociale che soffoca Lili; Parigi, luminosa e libera, diventa spazio di emancipazione artistica e personale. Non serve un antagonista tradizionale: la società stessa, con le sue norme invisibili ma pervasive, diventa l’ostacolo principale. In questo senso, il film mostra che le vere battaglie non sono sempre esterne, ma si svolgono nell’intimo, tra paura del rifiuto e desiderio di essere se stessi.
Un amore che cambia forma: identità, perdita e resilienza
Il cuore emotivo del film è la relazione tra Lili ed Einar con Gerda. Coxon racconta l’amore non come una favola né come un sacrificio totale, ma come un sentimento in continua trasformazione. Gerda non è solo testimone della nascita di Lili: diventa coautrice involontaria, musa e osservatrice attenta. Attraverso il suo sguardo artistico, Lili impara a vedersi come donna, trasformando la pittura in uno strumento di riconoscimento e affermazione della propria identità.
La sceneggiatura non nasconde la complessità del loro rapporto: gelosia, confusione, desiderio, rabbia e paura attraversano le loro vite. Gerda incarna la resilienza, imparando a convivere con il cambiamento e sostenendo Lili nel percorso verso la propria verità. Il film mostra che l’amore autentico non è mai statico: si adatta, si trasforma e, in certi casi, diventa strumento di crescita reciproca.
Il linguaggio invisibile dell’identità
Uno degli aspetti più raffinati della sceneggiatura è la costruzione dei momenti non verbali. Gesti quotidiani—la mano che sfiora una stoffa, lo sguardo che segue una donna, l’esitazione davanti allo specchio—raccontano la trasformazione di Lili con più forza di qualsiasi dialogo. Gerda partecipa a questo linguaggio attraverso la pittura: colori e texture diventano strumenti di comunicazione emotiva, permettendo ai personaggi di esprimere ciò che non può essere detto.
I silenzi e gli sguardi sospesi diventano strumenti narrativi centrali. Negli anni Venti, senza un vocabolario condiviso per l’identità di genere, ciò che non si può dire diventa il cuore della narrazione. Il simbolismo visivo completa il racconto: quadri, tessuti, specchi e luce naturale diventano estensioni della psiche dei protagonisti, trasformando l’immagine in linguaggio emotivo. Mare, vento e luce nordica evocano rinascita e purezza, sottolineando il rapporto tra ambiente, identità e introspezione.
Quando la scrittura diventa corpo e immagine
La sceneggiatura dialoga strettamente con la regia misurata di Hooper: inquadrature simmetriche, toni pastello e movimenti di macchina lenti rispecchiano la struttura interiore del testo. La fotografia di Danny Cohen, ispirata alla pittura nordica, crea atmosfere ovattate che evocano introspezione e vulnerabilità.
Gli attori incarnano pienamente i personaggi: Eddie Redmayne esprime fragilità, dolcezza e crescente sicurezza attraverso il linguaggio corporeo, mentre Alicia Vikander interpreta Gerda con forza, vulnerabilità e resilienza. La sceneggiatura diventa così un punto d’incontro tra testo, immagine e interpretazione, generando un racconto intimo e culturalmente significativo.
Un racconto che apre spazi, domande e consapevolezze
The Danish Girl è uno dei primi film mainstream a mettere al centro una storia trans. La sceneggiatura di Coxon non racconta solo la transizione di Lili, ma anche la trasformazione dell’arte, la fragilità dell’amore e le barriere culturali che definiscono ciò che è socialmente accettabile.
Coxon restituisce dignità a una vicenda spesso dimenticata, offrendo un modello narrativo emotivamente complesso, capace di stimolare riflessione e discussione. Il film diventa così un manifesto della libertà di essere, del coraggio di scegliere la propria verità e della bellezza dei legami che si trasformano senza perdersi.
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Emanuela Giuliani






