The Life of Chuck è il ritratto poetico sull’ordinaria straordinarietà della vita diretto da Mike Flanagan e con protagonista Tom Hiddleston.
Tratto da un racconto contenuto nella raccolta Se scorre il sangue di Stephen King, The Life of Chuck approda sul grande schermo, il 18 settembre distribuito da Eagle Pictures, con la regia di Mike Flanagan, noto per aver saputo fondere il linguaggio dell’horror con temi più intimi, e che ora, dopo i successi di The Haunting of Hill House e Doctor Sleep, affronta una sfida narrativa più complessa.
Attraverso tre atti frammentati Flanagan infatti, allontanandosi dalla narrazione tradizionale, mescola realtà, memorie e suggestioni per esplorare il mistero della vita umana raccontando la vita di un uomo qualunque, per rivelare solo alla fine il suo senso più profondo.
Un mosaico di emozioni e ricordi
Fin dai primi minuti, The Life of Chuck, come detto, conferma di non seguire le regole di uno sviluppo lineare, e il primo atto mostra un mondo che si sgretola senza un motivo apparente, ma che annuncia un’imminente e inevitabile fine. Segnali stradali impazziti, la connessione che svanisce, edifici vuoti, un senso di abbandono che si respira ovunque, caos in cui ad emergere è il volto di Charles Krantz, interpretato da Tom Hiddleston, un uomo di cui si sa poco, ma che viene ricordato con affetto. La sua immagine appare su cartelloni pubblicitari e negli ultimi messaggi trasmessi da radio e TV, accompagnata dalla frase ricorrente: “Grazie, Chuck”, come se il mondo intero stesse celebrando la sua esistenza, mentre lentamente si spegne.
Un inizio, questo, senza alcun dubbio enigmatico, che incuriosisce e spinge lo spettatore a farsi domande, che se da un lato alimenta il mistero e la riflessione, dall’altro potrebbe lasciare una parte del pubblico insoddisfatta o confusa, desiderosa di maggior concretezza o di risposte più precise. Tuttavia è proprio in questa ambiguità che risiede uno degli aspetti più interessanti: l’invito a leggere e colmare i vuoti narrativi con la propria sensibilità, rendendo l’esperienza visiva più personale e coinvolgente.
Nel secondo atto, invece, il tono cambia completamente e siamo immersi nella quotidianità di Chuck, tra uffici, chiacchiere leggere, sguardi fugaci e momenti di solitudine. Tom Hiddleston restituisce con delicatezza la profondità di un uomo semplice, aiutato dalla regia sensibile e attenta di Mike Flanagan che si concentra sui piccoli gesti, sui dettagli e sui pensieri che si leggono nei volti, avvolti da un’atmosfera sospesa, quasi onirica.
Nel terzo atto, infine, tutto trova un senso. Si torna all’infanzia di Chuck, ai suoi ricordi e alle relazioni che hanno formato la sua identità, con Chiwetel Ejiofor e Mark Hamill nei panni di figure chiave del suo passato, che arricchiscono la narrazione con interpretazioni intense ma mai eccessive.
Ed è qui che Flanagan svela il cuore del film: non è la morte il vero tema, ma la vita, raccontata nei suoi momenti più autentici. The Life of Chuck diventa così un mosaico dove ogni frammento, per quanto inizialmente scollegato, si unisce agli altri per formare il ritratto toccante di un’anima curato in ogni aspetto, con una fotografia che gioca tra luci e ombre, realtà e sogno, presente e ricordi.
Flanagan evita gli eccessi costruendo un limbo dove ogni gesto, parola e ricordo contribuisce a comporre un puzzle sull’esistenza, che permette di immergersi nella vita di Chuck e nell’universalità del racconto. Sebbene Chuck sia di fatto un individuo specifico, con una propria storia e personalità, il messaggio che trasmette è diretto a tutti dal momento che ogni vita è un intreccio di emozioni, relazioni e flashback che meritano di essere celebrati.
Un film sulla vita, non sulla morte
The Life of Chuck non è un film facile, perché ci spinge a guardare dentro noi stessi, facendoci riflettere su quanto spesso diamo per scontato ciò che ci circonda. In un mondo dominato dalla velocità, dal rumore e da immagini superficiali, questo sceglie la via della contemplazione, della lentezza e dell’emozione autentica.
È un film che richiede attenzione e partecipazione, ma che restituisce molto a chi è disposto a lasciarsi coinvolgere. La scelta di raccontare una vita attraverso frammenti disordinati è coraggiosa e riuscita, poiché rispecchia il modo in cui davvero ricordiamo, sentiamo e viviamo.
Allo stesso tempo, però, potrebbe risultare faticoso per chi si aspetta qualcosa di più lineare, con i salti temporali, la mancanza di spiegazioni immediate e l’atmosfera rarefatta che possono disorientare e far perdere il filo, soprattutto nei primi due atti. Serve pazienza e disponibilità a lasciarsi trasportare, senza cercare subito una logica precisa. Una sfida che, se accettata, ricompenserà con un’esperienza intensa e profondamente umana, perché The Life of Chuck è un omaggio poetico alla vita in tutte le sue forme.
Un film che ci invita a riflettere che anche la più ordinaria delle esistenze può essere straordinaria, se osservata con attenzione e amore, e che, in silenzio, ci sprona a riscoprire il valore del presente e ciò che rende unica ogni esistenza. The Life of Chuck che non cerca di dare risposte definitive sulla morte, sul tempo o sulla coscienza, ma suggerisce che, forse, il vero mistero non sta nella fine, ma in ciò che ci accompagna lungo il cammino, chiedendosi cosa ne sia di tutto questo quando lasciamo questo mondo.
©Riproduzione Riservata
Emanuela Giuliani
Il Voto della Redazione: