La sceneggiatura di The Long Walk che rilegge Stephen King tra ansie economiche, potere e resistenza umana.
The Long Walk, thriller psicologico prodotto da Lionsgate e diretto da Francis Lawrence, porta sul grande schermo uno dei romanzi più disturbanti e profetici di Stephen King. Adattato da JT Mollner dal libro pubblicato nel 1979 (scritto originariamente nel 1967 sotto lo pseudonimo Richard Bachman), il film rilegge la storia come una potente allegoria delle ansie economiche e sociali contemporanee.
Ambientato in un’America distopica del dopoguerra, il film immagina un regime autoritario guidato da un despota militare noto come il Maggiore (interpretato da Mark Hamill). Ogni anno il governo organizza un evento televisivo seguito da milioni di spettatori: “La Lunga Marcia”, una competizione di resistenza estrema in cui cinquanta ragazzi, selezionati tramite lotteria, devono camminare senza sosta mantenendo una velocità minima di 5 km/h. Ogni rallentamento comporta un avvertimento; al terzo, il concorrente viene eliminato. Solo uno sopravvive, ricompensato con una ricchezza illimitata e la promessa di poter esaudire qualsiasi desiderio.
Distribuito nelle sale statunitensi a settembre, The Long Walk ha incassato 62,9 milioni di dollari al botteghino globale, confermando l’interesse del pubblico per un cinema distopico fortemente radicato nel presente. Il cast principale riceverà inoltre il Robert Altman Award agli Independent Spirit Awards del prossimo anno, a riconoscimento del lavoro corale alla base del film.
Il cuore emotivo della sceneggiatura, che grazie a Deadline potete leggere qui: THE LONG WALK, è il percorso di Ray Garraty (Cooper Hoffman), giovane concorrente locale, e il suo legame con Peter McVries (David Jonsson). Quella che inizia come una semplice rivalità tecnica si trasforma progressivamente in un’alleanza profonda, quasi fraterna, che rappresenta un atto di resistenza umana contro un sistema disumanizzante. La loro amicizia diventa l’unico spazio di autenticità in un contesto costruito sulla paura e sulla violenza spettacolarizzata.

Per restituire visivamente e psicologicamente il logoramento dei personaggi, Francis Lawrence ha scelto di girare il film in ordine rigorosamente cronologico. Questa decisione permette allo spettatore di percepire il reale deterioramento fisico e mentale degli attori, costretti a percorrere decine di chilometri al giorno, amplificando il senso di fatica, alienazione e perdita di speranza che permea la narrazione.
Dal punto di vista tematico, la sceneggiatura funziona come una metafora esplicita dell’erosione del sogno americano. Se il romanzo originale nasceva come allegoria della guerra del Vietnam e del sacrificio imposto ai giovani, l’adattamento del 2025 aggiorna il discorso per riflettere l’angoscia economica contemporanea: inflazione, stagnazione salariale, precarietà cronica e la sensazione diffusa che per ottenere un futuro dignitoso sia necessario rischiare tutto, persino la vita.
Accanto alla critica sociopolitica, The Long Walk esplora il potere dei legami umani come unica luce possibile nell’oscurità. In un mondo ridotto a immagini e suoni primordiali — passi, respiri, colpi di fucile — il film pone domande scomode sul valore della vita, sulla dignità individuale e su cosa significhi continuare a camminare quando non sembra esserci più nulla da guadagnare.
Con questo adattamento, Lawrence e Mollner non si limitano a trasporre un classico della narrativa di King, ma lo trasformano in uno specchio inquietante del presente, dimostrando come certe distopie non invecchino mai: cambiano solo i motivi per cui continuiamo a parteciparvi.






