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The Toxic Avenger, la recensione: un ritorno radioattivo dal passato

The Toxic Avenger, la recensione del ritorno radioattivo dal passato diretto da Macon Blair e con protagonista Peter Dinklage.

Chi l’ha detto che i supereroi devono essere belli, muscolosi e moralmente integerrimi? Alla 20ª Festa del Cinema di Roma, nella sezione Grand Public, arriva The Toxic Avenger, il remake del celebre film del 1984 diretto da Lloyd Kaufman, diventato un simbolo del cinema trash e indipendente. Interpretato da un cast d’eccezione, che vede protagonisti Peter Dinklage, Elijah Wood, Kevin Bacon, Jacob Tremblay e Taylour Paige, questa nuova versione arriverà nelle sale italiane dal 30 ottobre, distribuita da Eagle Pictures.

Al centro della storia c’è Winston Gooze, un umile inserviente di fabbrica, schiacciato da una società marcia, corrotta e divorata dall’avidità, che non lo considera. Una notte, però, un drammatico incidente cambia radicalmente la sua vita:  il suo corpo viene inondato da sostanze tossiche che ne divorano la carne, deformandolo e trasformandolo in un essere mostruoso e indistruttibile. Nasce così Toxic Avenger, un antieroe dall’aspetto spaventoso e dalla forza sovrumana, la cui furia vendicativa si scatena quando la vita di suo figlio viene minacciata.

Tra disumanità, mutazioni e identità negate

Mantenendo l’anima stravagante e sopra le righe dell’originale, il nuovo Toxic Avenger cerca di attualizzare temi e toni. Protagonista della scena è ovviamente la figura del “diverso”, incarnata da Winston, interpretato da Peter Dinklage: un uomo, come detto, fragile, emarginato e quasi invisibile alla società, vittima di un sistema che non solo lo ignora, ma lo sfrutta in modo spietato.

È un personaggio complesso, la cui fisicità minuta e apparentemente vulnerabile viene ribaltata nel momento in cui si trasforma in un mostro, segnando un paradosso amaro: è solo nella deformazione del suo corpo, corroso dalle sostanze tossiche, che Winston riesce finalmente a emergere dal nulla, diventando visibile e, allo stesso tempo, temuto. La performance di Dinklage aggiunge profondità a questo conflitto interno tra fragilità e forza.

La sua figura, infatti, già portatrice di una diversità fisica rispetto agli standard comuni, arricchisce la tematica della marginalità e dell’identità negata. Winston non è solo un uomo mutato: è un simbolo di chi, nella società, viene escluso e relegato ai margini perché non risponde ai canoni di efficienza, bellezza o successo.

In tal senso, la metamorfosi non è semplicemente un effetto speciale o un espediente narrativo, ma una metafora della lotta per la visibilità e il riconoscimento, che spesso arriva solo quando si diventa “mostruosi” agli occhi degli altri. Inoltre, è proprio nella perdita dell’“umanità” esteriore che il protagonista riscopre una forza interiore autentica, soprattutto nel suo legame con il figlio, che diventa la motivazione più profonda delle sue azioni.

Accanto a Winston/Dinklage, si distinguono le performance volutamente marcate di Elijah Wood e Kevin Bacon. Wood, irriconoscibile, abbandona ogni traccia della sua immagine rassicurante per interpretare un villain caricaturale, mentre Bacon è un antagonista freddo e narcisista, simbolo dell’arroganza del potere economico, capace di sfruttare e manipolare con un cinismo elegante e una cattiveria sottile, celata dietro il volto del successo.

Una satira velenosa, ma non sempre affilata

The Toxic Avenger affronta inoltre l’avidità e la corruzione sistemica, individuando i veri “mostri” nel potere economico che distrugge vite per il proprio profitto. La vendetta primitiva e violenta si abbatte su un mondo senza limiti, e il contrasto tra il mostro “buono” e i magnati spietati sottolinea questa critica sociale, anche se a tratti resta un po’ troppo in superficie.

La struttura narrativa, alternando momenti grotteschi a spunti di riflessione, non sempre trova un equilibrio convincente. Nonostante la regia dinamica di Macon Blair, che non rinuncia a omaggiare il cinema di serie B degli anni ’80 con effetti speciali pratici, scene eccessive e un umorismo nero fedele allo spirito originale, i personaggi secondari non vengono sviluppati con coerenza. Il risultato è un film che promette molto, soprattutto sulla carta, ma che alla fine resta troppo spesso schematico.

Rispetto al cult degli anni ’80, che puntava tutto sull’humour nero e la violenza grottesca, questa nuova visione cerca di aggiungere uno spessore umano più marcato. Dove il Toxie originale era principalmente un’icona da cinema di serie B, un eroe disfunzionale il cui messaggio sociale si esprimeva attraverso l’eccesso e la satira, qui Winston è un personaggio più stratificato, con una vulnerabilità palpabile che invita lo spettatore a empatizzare più direttamente. Il risultato, però, oscilla tra il riuscito e il meno convincente.

Un antieroe senza troppo mordente

In definitiva, The Toxic Avenger è un’operazione dal sapore nostalgico, che si rivolge soprattutto a chi conosce e apprezza l’ironia caotica del film del 1984.Blair cerca di rendergli omaggio con una nuova veste visiva, un cast importante e una narrazione che mescola umorismo nero, critica sociale e azione. Le buone intenzioni ci sono, così come l’energia e la voglia di osare, ma il tutto resta in bilico, senza mai affondare il colpo in nessuna direzione, mancando così l’occasione di rendere l’esperienza davvero coinvolgente.

The Toxic Avenger è quindi il classico film che funziona meglio se visto con lo spirito giusto: senza aspettative troppo alte e con la voglia di farsi contaminare, almeno un po’, da un po’ di sano caos radioattivo e da un’ironia che, pur rimanendo grezza, conserva un suo fascino.

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Emanuela Giuliani

Il Voto della Redazione:

6


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