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The Witcher 4, la recensione: trasformazione e rischio

The Witcher 4 su Netflix: Geralt, Ciri e Yennefer affrontano destino e fragilità in una stagione più introspettiva e psicologicamente intensa.

Approdata su Netflix il 30 ottobre, la quarta stagione di The Witcher — la serie fantasy ispirata ai romanzi di Andrzej Sapkowski — segna una svolta significativa per la saga e per i suoi fan. Dopo tre stagioni, la serie si rinnova con una narrazione più compatta e uno stile coerente, senza rinunciare alla sua anima oscura, sospesa tra momenti riusciti e passaggi più incerti.

La storia riprende dagli eventi sconvolgenti della terza stagione: Geralt, Yennefer e Ciri sono separati e costretti a sopravvivere in un Continente devastato dalla guerra e tormentato dai propri demoni. Ognuno dovrà trovare la forza di accettare il proprio destino e guidare nuovi compagni di viaggio, per superare il proprio “battesimo del fuoco” e, forse, ritrovarsi.

Tra sfide e nuove prospettive

Il cambiamento più discusso riguarda Geralt di Rivia: con Liam Hemsworth al posto di Henry Cavill, il personaggio acquista una nuova identità. Il suo Geralt è più riflessivo e vulnerabile, meno eroe invincibile e più uomo segnato dall’esperienza. Hemsworth non tenta di imitare Cavill, ma costruisce un personaggio introverso, consapevole della propria mortalità e capace di confrontarsi con il dolore in modo intimo.

Anche Yennefer e Ciri attraversano una fase più introspettiva, segnata da dubbi e conflitti interiori: Ciri affronta il peso crescente della profezia, mentre Yennefer deve fare i conti con le conseguenze delle proprie scelte e poteri. Questo approccio psicologico arricchisce le relazioni e i dialoghi, rendendo le interazioni più intense e credibili, con le figure come Regis, vampiro e filosofo, che aggiungono ulteriore spessore, trasformando ogni incontro in una riflessione su potere, lealtà e responsabilità.

Sul piano visivo, la serie accompagna questa evoluzione con un cambio di tono: ambientazioni più cupe, colori realistici e una fotografia che esalta solitudine e malinconia. Gli scenari — dalla devastazione della guerra agli spazi più intimi dei personaggi — diventano specchio delle loro emozioni. Anche la colonna sonora si adegua, adottando un registro misurato che accompagna l’introspezione senza sovrastarla.

Il cast bilancia con efficacia momenti di azione e introspezione: Hemsworth costruisce un Geralt meditativo, Anya Chalotra una Yennefer tormentata, Freya Allan una Ciri matura e consapevole del proprio potere, e le scene d’azione, pur spettacolari, acquisiscono un valore narrativo, diventando momenti di crescita interiore. Il cambio di cast e di direzione non è dunque solo tecnico, ma il cuore stesso del cambiamento della quarta stagione che punta a una narrazione più stratificata e psicologicamente densa.

A rafforzare questa evoluzione contribuisce l’ampliamento del mondo narrativo: trame politiche, intrighi tra regni e macchinazioni magiche assumono maggiore rilievo, rendendo i conflitti non più soltanto fisici ma anche morali. L’introduzione di Regis emerge come uno degli elementi più riusciti: non solo un alleato, ma un interlocutore filosofico che interroga Geralt e Ciri sul confine tra umanità e mostruosità, conferendo maggiore profondità alle motivazioni dei protagonisti.

Anche maghi, figure politiche e antagonisti secondari sono sviluppati con complessità, rendendo ogni alleanza, tradimento o scelta un’esplorazione di fiducia, ambizione e colpa. Tutti questi elementi confluiscono in un tema centrale: il rapporto tra potere, destino e libero arbitrio, dove ogni decisione ha conseguenze profonde.

Dal punto di vista della scrittura, The Witcher 4 è ambizioso. Alcuni episodi fondono politica, magia e introspezione con grande intensità emotiva, mentre altri risultano più frammentati: la sceneggiatura, infatti, porta avanti diversi filoni narrativi contemporaneamente, generando a volte smarrimento nello spettatore. Nei momenti migliori, però, la serie colpisce per la delicatezza: silenzi, sguardi e gesti quotidiani raccontano più delle battaglie o degli effetti speciali, rivelando la crescita dei protagonisti senza ripetere concetti già noti e mostrando la metamorfosi stessa della serie. The Witcher non è più solo caccia ai mostri, ma un racconto sulle conseguenze delle scelte, sulla disillusione e sulla fragilità umana: un’opera adulta e consapevole, capace di esplorare tanto i personaggi quanto il proprio mito.

Tuttavia, questo cambio di passo potrebbe dividere il pubblico: Hemsworth appare meno imponente rispetto all’iconico Cavill, e la maggiore introspezione rallenta il ritmo epico delle stagioni precedenti. La serie oscilla così tra maturità narrativa e nostalgia del passato, offrendo un’esperienza complessa e stratificata.

Tra disillusione e speranza

La quarta stagione è in conclusione un capitolo di transizione rischioso e dai risultati altalenanti. Netflix spinge la saga verso un racconto adulto e malinconico, dove il mito dell’eroe lascia spazio alla fragilità e alla mortalità dei protagonisti. In un Continente segnato da guerre, magie instabili e alleanze fragili, Geralt, Ciri e Yennefer camminano sul filo sottile tra destino e scelta, tra coraggio e paura.

La forza della stagione risiede nella sua onestà: riconosce i limiti dei personaggi e del mondo che li circonda, mostrando che anche gli eroi più potenti possono vacillare e che ogni decisione porta con sé un prezzo. Tra battaglie che lasciano il cuore in gola e momenti di quiete sospesa, la serie riesce a intrecciare introspezione e azione, dando al pubblico sprazzi di bellezza malinconica e lampi di speranza.

Chi segue la saga dall’inizio troverà ancora scene memorabili, incontri che lasciano il segno e riflessioni che risuonano oltre lo schermo. Non è una stagione perfetta, ma è una stagione viva: coraggiosa, sincera, capace di guardare dentro i personaggi quanto dentro il mito stesso di The Witcher. Un racconto di metamorfosi, fragilità e resilienza, da vivere con pazienza e occhi aperti.

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Emanuela Giuliani

Il Voto della Redazione:

6


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