Toro scatenato (Raging Bull, 1980) rappresenta uno dei vertici della carriera di Martin Scorsese e un’opera capace di ridefinire i confini del cinema biografico e sportivo. La storia di Jake LaMotta, tratta dalla sua autobiografia, diventa nelle mani del regista un viaggio crudele e poetico nella parte più oscura dell’essere umano, che supera il racconto sportivo e diventa una meditazione sulla violenza, sulla colpa e sulla distruzione di sé. Scorsese, reduce da un grave crollo fisico e psicologico, riconosce nella vicenda di LaMotta il riflesso delle proprie fragilità e trova in essa un modo per elaborare le proprie inquietudini.
Mascolinità e Distruzione
Toro Scatenato indaga con implacabile lucidità le zone più torbide dell’animo umano, esplorando come la mascolinità distorta e la tendenza all’autodistruzione si intreccino in un circolo vizioso. LaMotta percepisce il mondo come un territorio ostile e reagisce con sospetto, aggressività e un bisogno ossessivo di controllo, che lo porta a frammentare le relazioni più intime. La sua mascolinità non è eroica o rassicurante: è fragile, aggressiva, segnata da insicurezze e da un desiderio compulsivo di affermare il proprio potere, anche a costo di autodanneggiarsi.
La caduta morale e affettiva del protagonista viene mostrata con lentezza meditata, permettendo allo spettatore di sentire il peso di ogni scelta sbagliata e di ogni esplosione di rabbia. La ricerca di redenzione non trova mai un riscatto reale: la celebre scena dello specchio non mostra un uomo salvato, ma uno costretto a confrontarsi con ciò che ha distrutto, impotente di fronte alla propria violenza e ai legami spezzati. In questo senso, il film assume una dimensione tragica: LaMotta non è semplicemente un pugile, ma un uomo prigioniero dei propri impulsi e delle proprie contraddizioni.
Il conflitto familiare, tema centrale nella poetica scorsesiana, qui raggiunge uno dei suoi vertici emotivi. Il rapporto tra Jake e Joey è complesso, fatto di affetto, lealtà, gelosia e timore: l’amore fraterno convive con la tensione di un legame vulnerabile e continuamente minacciato dalla rabbia del protagonista. L’ossessione di LaMotta lo porta a logorare irreparabilmente il fratello, fino a spezzare l’unico vero legame affettivo della sua vita. La dinamica familiare diventa così metafora della sua distruttività interiore: ogni gesto aggressivo, ogni parola violenta, è la manifestazione concreta di una mascolinità incapace di mediare sentimenti e conflitti.
Il film esplora anche il rapporto tra violenza e identità: sul ring, Jake esercita un controllo totale, trasformando la rabbia in forza; fuori dal ring, lo stesso impulso lo annienta, erodendo legami, fiducia e stima di sé. La mascolinità, concepita come dominio e resistenza, si rivela alla fine come trappola, e la distruzione che ne deriva non risparmia né lui né chi lo ama. In questo senso, Toro Scatenato non è solo la storia di un campione, ma un ritratto universale dell’uomo in conflitto con le proprie pulsioni più oscure.
Costruire Toro Scatenato
La regia di Scorsese raggiunge in Toro scatenato una delle sue forme più essenziali e meditate. Il bianco e nero astrae la storia, trasformandola in una parabola universale sulla rabbia e sulla solitudine, mentre le scene di boxe diventano immersioni nella mente di Jake: il ring è uno spazio psichico, dove si concentrano la sua ferocia e le sue paure. La fotografia crea un continuo dialogo tra luce e oscurità, accentuando la tensione emotiva della narrazione.
Il montaggio di Thelma Schoonmaker, premiato con l’Oscar, costruisce il ritmo alternando violenza e silenzi, mostrando la distanza tra la figura pubblica del campione e la sua frattura interiore. La sceneggiatura di Paul Schrader e Mardik Martin è attenta ai dettagli psicologici: i dialoghi sono brevi, spesso sospesi o impliciti, e comunicano più attraverso i silenzi e le omissioni che con le parole. I flashback e i piccoli gesti quotidiani rivelano le fragilità, le ossessioni e i conflitti di Jake, trasformando la violenza sul ring in specchio della sua lotta interiore e della solitudine. In questo modo, il film evita qualsiasi glorificazione dello sport e costruisce un ritratto realistico e doloroso di un uomo in conflitto con se stesso e con chi lo circonda.
Le interpretazioni completano l’opera. Robert De Niro offre una delle prove più memorabili della storia del cinema: un Jake LaMotta rabbioso, vulnerabile e contraddittorio, reso con una precisione che va oltre l’imitazione. Joe Pesci dà a Joey una forza emotiva autentica, fatta di affetto e impotenza, mentre Cathy Moriarty interpreta Vickie con magnetismo, fragile e al tempo stesso determinata.
La storia dietro i film
Il film segue fedelmente i passaggi cardine della vita di Jake LaMotta, intensificandone però la portata emotiva. Gli incontri con Sugar Ray Robinson, decisivi nella sua carriera, diventano nel film veri e propri snodi esistenziali. La famosa capacità del pugile di incassare colpi è trasformata in un tratto caratteriale: un uomo che resiste e sopravvive, senza però riuscire a cambiare.
LaMotta viene ritratto senza attenuanti ma senza giudizi. Le sue violenze domestiche, i tradimenti, le sue ossessioni sono mostrati con un realismo asciutto, che svela un individuo incapace di vedere la devastazione che produce. Anche il rapporto con la criminalità organizzata, presente nella biografia, è ampliato per mettere in luce la corruzione del mondo della boxe degli anni ’40 e ’50.
La figura di Joey, fratello e manager, rispecchia le tensioni reali tra i due LaMotta ma, nel film, assume un valore simbolico più profondo: rappresenta l’ultima possibilità di salvezza del protagonista. Lo stesso LaMotta, coinvolto come consulente, confessò che l’interpretazione di De Niro lo costrinse a riconsiderare la propria vita con uno sguardo che lo turbò profondamente.
Curiosità dal Set e dalla Produzione
La lavorazione del film fu caratterizzata da scelte artistiche audaci e da momenti di grande intensità. De Niro, dopo aver girato le scene da atleta in forma perfetta, si prese una lunga pausa per ingrassare e interpretare il LaMotta degli anni successivi: un processo che mise a dura prova la produzione e causò all’attore problemi fisici significativi.
Scorsese inizialmente esitava ad affrontare un film incentrato sulla boxe, temendo i limiti del genere. Fu De Niro a convincerlo sottolineando la dimensione umana della storia. Nonostante le resistenze dello studio sull’uso del bianco e nero, la scelta si rivelò determinante per l’aura visiva del film. Le scene di boxe, girate come veri numeri coreografici, furono curate fin nei minimi dettagli, con un uso del suono studiato per esprimere l’impatto emotivo più che quello fisico.
La presenza di Jake LaMotta sul set aggiunse ulteriore carica emotiva. L’ex pugile fu impressionato dalla fedeltà con cui De Niro riproduceva i suoi movimenti e confessò più volte di essere rimasto turbato dalla sincerità con cui il film metteva in scena la sua vita.
Un capolavoro dell’anima
Toro scatenato è una delle opere più intense e dolorose del cinema moderno, un viaggio negli abissi dell’anima più che un film sul pugilato. Non cerca di giustificare né di condannare Jake LaMotta, ma lo osserva con lucidità, mostrando un uomo che ha trasformato la sua forza in una prigione. Scorsese costruisce una tragedia priva di catarsi, dove la gloria sportiva appare come un lampo effimero all’interno di un’esistenza segnata dall’irrecuperabile.
L’opera lascia un’impressione profonda perché racconta non solo la vita di un pugile, ma la vicenda universale di un individuo incapace di amare e di lasciarsi amare. È questa complessità emotiva, insieme alla potenza della regia e alla straordinaria intensità delle interpretazioni, a renderlo un capolavoro che continua a interrogare e trasformare chi lo guarda.
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Emanuela Giuliani






