In concorso a Venezia 81: Trois Amies, diretto da Emmanuel Mouret con India Hair, Camille Cottin e Sara Forestier.
In concorso all’81esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Trois Amies segna il ritorno del regista, sceneggiatore e attore francese Emmanuel Mouret, autore raffinato noto per il suo approccio intimo e misurato alle dinamiche relazionali. Con questo nuovo lavoro, Mouret tenta di raccontare l’amicizia femminile come spazio di riflessione sul desiderio, la disillusione e la ricerca di senso nei rapporti umani. Tuttavia, al di là delle intenzioni e di un’eleganza formale indiscutibile, il film si rivela un’opera fragile, incapace di imprimere forza e direzione al proprio racconto. Una narrazione prevedibile, diluita e priva di autentico coinvolgimento emotivo, che fatica a emergere dal suo stesso impianto.
Scritto dallo stesso Mouret insieme a Carmen Leroi e distribuito in Italia da Lucky Red, Trois Amies è ambientato a Lione e segue le vicende di tre donne legate da un’amicizia profonda. Joan (India Hair) non è più innamorata del suo compagno Victor (Vincent Macaigne), padre della loro bambina. Alice (Camille Cottin), la sua migliore amica, sostiene che una relazione possa sopravvivere senza passione, fondata sulla tranquillità e il rispetto reciproco. Rebecca (Sara Forestier), la terza del gruppo, è invece coinvolta in una relazione clandestina con Eric, proprio il compagno di Alice.
La morte improvvisa di Victor in un incidente stradale, avvenuta proprio quando Joan si era decisa a lasciarlo, dovrebbe rappresentare un punto di svolta. Victor diventa la voce narrante postuma del film, un espediente che sembra voler offrire uno sguardo esterno e distaccato sulle dinamiche intime delle protagoniste. Eppure, questo colpo di scena non innesca alcuna vera evoluzione nei personaggi, rimanendo confinato a un artificio narrativo che non produce effetti significativi sulla trama né sulla psicologia delle tre amiche.
Un racconto che resta in superficie
I temi che Mouret sceglie di affrontare — amicizia, amore, tradimento, compromesso — appartengono al repertorio classico del cinema francese più intimista. Tuttavia, Trois Amies non riesce ad attualizzarli né a renderli vivi. Il film si trascina in una successione di scene dialogate, spesso statiche, dove il conflitto resta sottotraccia e ogni potenziale tensione emotiva viene rapidamente assorbita da una forma narrativa composta ma inerte. La scrittura, pur puntuale, è incapace di accendersi. I dialoghi appaiono studiati più per suggerire uno stile che per svelare l’interiorità dei personaggi.
Anche la regia, sobria e controllata, sembra più interessata alla geometria delle inquadrature che al battito emotivo della storia, e ill ritmo narrativo si fa via via più rarefatto, con sequenze che si susseguono senza un vero crescendo, alimentando la sensazione di un racconto bloccato, incapace di generare sorprese o coinvolgimento.
Joan, Alice e Rebecca incarnano tre visioni differenti dell’amore e dell’onestà, ma nessuna di loro evolve realmente nel corso della narrazione. Nonostante gli eventi destabilizzanti — la morte, il tradimento, il dubbio — le protagoniste rimangono emotivamente passive, quasi impermeabili a ciò che accade intorno a loro, è come se fossero sospese in una dimensione ovattata, dove ogni gesto è calcolato e ogni reazione stemperata.
L’amicizia che le lega, anziché rappresentare un luogo di confronto, diventa una sorta di rifugio anestetizzante, privo di scosse, le dinamiche interpersonali, invece di arricchirsi o complicarsi, si cristallizzano in una ripetizione di schemi già noti, senza mai davvero sfidare la coerenza apparente del loro equilibrio. Questa scelta narrativa finisce per privare il film di ogni forza propulsiva, lasciandolo impantanato in una contemplazione che non porta a nulla.
Eleganza senza intensità
Mouret ha definito il film come un’opera “quasi musicale”, costruita su contrappunti emotivi e variazioni di tono, ma quella che doveva essere una partitura sfaccettata si rivela in realtà un unico, monocorde movimento, e a mancare è un vero crescendo, le dissonanze, le pause significative, i momenti di rottura. Tutto si mantiene su una linea costante, elegante ma priva di urgenza, come una melodia che si ripete senza mai trovare una modulazione efficace.
Il tentativo di restituire un realismo disincantato, fatto di silenzi e mezze parole, si scontra con la freddezza della messa in scena e con personaggi che sembrano più recitare un’idea di emozione che viverla davvero, anche i momenti teoricamente più drammatici — la perdita, il tradimento, il disincanto — sono trattati con una tale distanza che ogni possibilità di empatia viene neutralizzata.
Trois Amies si presenta come un’indagine sulle sfumature dei sentimenti, ma si arresta prima ancora di entrare in profondità, è un film che non osa mai davvero, che preferisce la compostezza al rischio, la forma al turbamento. Emmanuel Mouret firma così un’opera che, pur affascinante nel suo impianto estetico, rimane intrappolata in una narrazione asettica, senza tensione, senza trasformazione, senza impatto.
Più che raccontare la complessità dell’amicizia e dell’amore, il film li osserva da lontano, con uno sguardo che non riesce a cogliere il cuore pulsante della materia, ne deriva quindi un’opera visivamente elegante ma emotivamente vuota, che si dissolve nella memoria dello spettatore come un’eco vaga, mai capace di farsi voce.
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Emanuela Giuliani
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