Un semplice incidente» di Jafar Panahi è un atto di resistenza civile e poetica: cinema coraggioso, intenso e profondamente umano.
Con Un semplice incidente, Jafar Panahi torna a firmare un’opera di straordinaria intensità e potenza espressiva, confermando il suo ruolo centrale nel panorama del cinema mondiale e, in particolare, nella tradizione cinematografica iraniana. Autore tra i più coraggiosi e coerenti del nostro tempo, Panahi prosegue il suo percorso artistico e umano segnato da un impegno civile profondo, da una capacità di osservazione lucidissima e da una costante tensione verso la verità.
Dopo la trionfale conquista della Palma d’Oro al Festival di Cannes 2025, dove è stato salutato come uno dei film più importanti dell’anno, Un semplice incidente ha proseguito il suo percorso nei principali festival internazionali, tra cui la Festa del Cinema di Roma, dove ha ricevuto una calorosa accoglienza da parte della critica e del pubblico.
A testimonianza dell’eco globale del suo messaggio, il film è stato scelto dalla Francia come candidato ufficiale agli Oscar 2026 per il Miglior Film Internazionale, segnando un ulteriore riconoscimento per un autore che ha saputo trasformare i limiti imposti dal regime in uno spazio di espressione radicale e personale. Panahi, ancora una volta, dimostra che il cinema può essere uno strumento di denuncia, di riflessione, ma anche di profonda poesia e umanità.
Raccontare la realtà, sfidare il silenzio
Un semplice incidente ha come punto di partenza un fatto all’apparenza insignificante — l’investimento di un cane — che, sotto la regia lucida e coraggiosa di Jafar Panahi, diventa la chiave d’accesso a una riflessione profonda sulla società iraniana, in cui si annidano domande urgenti e universali: che cos’è la giustizia? Dove si colloca la responsabilità individuale in un contesto oppressivo? E, soprattutto, è possibile spezzare il ciclo della violenza?
Il film si inserisce nel solco di un cinema politico e poetico, capace di raccontare l’Iran di oggi senza didascalismi, ma con un linguaggio che mescola realismo e simbolismo, farsa e tragedia, quotidianità e allegoria. Panahi ci porta in un paese dove il peso del passato si scontra con il desiderio di cambiamento, e dove ogni gesto, ogni parola, può diventare atto di resistenza. La vendetta, il perdono, la memoria, la convivenza: sono questi i temi che si intrecciano, si sfidano, e riflettendo i profondi conflitti che attraversano la società iraniana.
La scelta inoltre di rappresentare per la prima volta una donna senza hijab ha un significato dirompente. È un segnale della trasformazione sociale in atto, ma anche un atto di sfida diretto a un sistema che cerca di mantenere il controllo attraverso imposizioni formali e simboliche. Dopo la morte di Mahsa Amini nel settembre 2022 — arrestata dalla “polizia morale” per non aver indossato correttamente il velo e morta in custodia — il movimento Donna, Vita, Libertà ha scosso l’intero paese, portando in piazza migliaia di donne e uomini in segno di protesta contro la repressione.
In questo nuovo scenario, l’assenza del velo non è più solo trasgressione: è un atto di autodeterminazione, una presa di posizione che riflette la complessità delle relazioni sociali e l’emergere di nuovi soggetti resistenti, spesso giovani, spesso donne, che sfidano apertamente le regole imposte dal regime.
Panahi, da sempre attento alle sottili dinamiche del potere, riconosce questa evoluzione e la incorpora nel suo linguaggio cinematografico, facendo del corpo femminile non un oggetto, ma uno spazio di conflitto e libertà.
Ma nel cuore di Un semplice incidente c’è anche un dilemma morale: un gruppo di persone riconosce in un uomo il proprio torturatore e si interroga su come — o se — vendicarsi. In questa trama si gioca il vero centro emotivo e politico della narrazione. Panahi non cerca risposte semplici, ma pone domande scomode, profonde: può la vendetta sanare una ferita? O è solo un altro modo per alimentare l’odio?
Un momento della storia questo, che richiama ciò che è successo recentemente in Iran, in cui da decenni di repressione, incarcerazioni arbitrarie, torture e esecuzioni, molti cittadini — soprattutto dopo le proteste del 2009, del 2019 e del 2022 — hanno vissuto sulla propria pelle e con i familiari gli abusi del potere. Il dilemma del film quindi, è lo specchio di una realtà vissuta e condivisa, e Panahi umanizza il conflitto mostrando come nessuno sia immune dal dolore, incluso chi appare come carnefice.
Ad aggiungere un ulteriore livello di lettura al film, è anche il fatto di essere stato realizzato senza autorizzazioni e in clandestinità, dopo l’arresto e la detenzione del regista, il quale, nonostante il divieto imposto dalle autorità iraniane di girare film e lasciare il paese, continua a creare opere che interrogano la realtà.
Il potere silenzioso del cinema
Un semplice incidente, non è solo un film, ma un atto di disobbedienza civile, un simbolo potente della resistenza culturale in un sistema repressivo. E’ l’ennesima dimostrazione della straordinaria libertà creativa di Panahi in un contesto in cui la censura è sistemica e la libertà di espressione costantemente minacciata. La sola realizzazione del film, ha il valore di un gesto rivoluzionario che riafferma il diritto dell’artista di raccontare la realtà, soprattutto quando è scomoda.
Il cinema di Panahi si conferma così un emblema silenzioso ma incisivo, capace di eludere la censura perché trasforma il conflitto in linguaggio, forma estetica e pensiero critico. È un cinema che documenta senza essere documentario, che sfida il regime con la forza del racconto e del dettaglio quotidiano, trasformando l’ordinario in un atto politico.
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Emanuela Giuliani
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