Una battaglia dopo l’altra, un film politico, feroce e attuale che mette a nudo le ferite dell’America contemporanea.
Dopo anni di attesa, il regista candidato all’Oscar e vincitore del BAFTA Paul Thomas Anderson torna al cinema, il 25 settembre distribuito da Warner Bros. Pictures, con Una battaglia dopo l’altra, un film dall’intelligente ironia, intenso e profondamente politico, che intrecciando il presente con le cicatrici del passato, dipinge un ritratto doloroso sull’America contemporanea.
Protagonista Leonardo DiCaprio, la cui collaborazione con Anderson, attesa da tempo, si è finalmente concretizza, nei panni di Bob Ferguson, ex leader di un collettivo rivoluzionario, segnato dal tempo e dal peso di scelte che hanno cambiato e distrutto la sua vita.
Bob Ferguson, ex militante radicale del collettivo French 75, ha abbandonato la lotta armata per crescere da solo la figlia Willa, avuta con la compagna e attivista Perfidia Beverly Hills, arrestata anni prima e scomparsa. Quando la ragazza viene rapita da un ex nemico, il suprematista Steven J. Lockjaw, Bob è costretto a riaprire ferite mai guarite e a rimettere in discussione tutto: il passato, gli ideali e sé stesso.
Tra ideali infranti e legami da salvare
Ambientato in un’America lacerata, disillusa e sull’orlo del collasso morale, Una battaglia dopo l’altra è una fotografia spietata del nostro tempo: un affresco che va ben oltre il semplice dramma personale, muovendosi all’interno della crisi dell’identità americana — una crisi che riguarda anche l’Occidente — fatta di razzismo sistemico, migrazioni negate, scontri ideologici e infiniti atti di violenza.
Il tema dell’immigrazione, infatti, anche se non dichiarato in modo esplicito, è onnipresente in ogni scena: i personaggi si muovono all’interno di una nazione militarizzata, paranoica, dove l’“altro” è sempre percepito come una minaccia. Dai centri di detenzione ai checkpoint, dalle comunità ghettizzate ai militanti che controllano i confini in nome di un’ideologia etnica, tutto parla di un Paese che ha smarrito il senso dell’appartenenza collettiva e della convivenza civile.
Un Paese in cui non si lotta per integrare, ma per escludere; dove la paura ha sostituito la politica. In questo contesto si colloca la figura di Willa, giovane, ribelle e determinata, nata da un’unione interrazziale e cresciuta lontano dai dogmi ideologici: emblema di una nuova generazione che non si riconosce né nei padri rivoluzionari né nei fanatici del presente.
Willa è, di fatto, il punto di rottura e, insieme, la possibilità di salvezza. Il suo rapimento non è solo l’evento scatenante della narrazione, ma una potente metafora: quella di nuove generazioni tenute in ostaggio da chi rifiuta il cambiamento — siano essi nostalgici dell’utopia o estremisti del controllo.
Una battaglia dopo l’altra riflette anche sul modo in cui la violenza ideologica, da qualunque parte provenga, finisce sempre per annientare le proprie stesse premesse. Anderson, in questo, è spietato ma giusto: mostra, senza mezzi termini, come anche chi parte da un ideale di giustizia possa trasformarsi in oppressore una volta perso il contatto con la propria umanità.
A tal proposito, i componenti del collettivo French 75, un tempo animati da sogni di parità e uguaglianza, sono rappresentati come individui consumati dall’odio, incapaci di distinguere la lotta per un mondo migliore da una guerra contro tutto e tutti. Lo stesso Bob Ferguson ne è l’esempio: il suo esilio volontario non rappresenta una redenzione, ma una resa silenziosa, e anche se ha rinunciato alla violenza, non l’ha mai davvero elaborata, fino a quando la minaccia tocca ciò che ha di più caro, costringendolo ad affrontare il senso delle sue azioni, le responsabilità personali e le scelte che hanno distrutto delle vite — compresa la sua.
Con Una battaglia dopo l’altra, Anderson non offre scorciatoie morali, poiché nessuno è davvero innocente e tutti i personaggi portano con sé una quota di colpa, diretta o indiretta. È una visione dura, ma realistica, di un mondo frammentato, dove la giustizia assoluta non esiste più — se mai sia esistita — e l’unico atto davvero rivoluzionario, a quanto pare, è quello di non rispondere con altra violenza.
Una battaglia dopo l’altra non glorifica la lotta armata, l’eroismo, la retorica dell’“uomo giusto al momento giusto”, ma smaschera questi cliché richiamando alla responsabilità individuale. Non è più tempo di combattere contro qualcosa, ci dice Anderson, ma per qualcuno: per chi è ancora abbastanza giovane da non essere stato completamente corrotto.
La violenza, nel film, è brutale, insensata, autodistruttiva, dolorosa e definitiva, nessuna ideologia può giustificarla e se c’è una lezione che emerge, è proprio questa: nessun ideale, per quanto nobile, può essere difeso attraverso la disumanizzazione dell’altro. Ogni volta che ciò accade, anche l’ideale muore.
L’anima degli interpreti, il peso del passato, la scelta del presente
A dare corpo Una battaglia dopo l’altra, un cast in stato di grazia. Leonardo DiCaprio offre una delle sue prove più intense il suo Bob Ferguson è un uomo fragile ma non spezzato. Con sguardi e silenzi, DiCaprio restituisce tutta la complessità di un personaggio che ha perso tutto, ma non la sua umanità. Accanto a lui, Teyana Taylor in Perfidia Beverly Hills, vibrante e carismatica, così come Chasi Infiniti, volto di Willa e infine Sean Penn, assolutamente magistrale nell’inquitante e impassibile fanatico Lockja, simbolo della minaccia che nasce dalla paura e si nutre del controllo, più che dell’odio.
La regia di Anderson è sobria e incisiva, ogni inquadratura segue da vicino i personaggi, cogliendo tensioni interiori e gesti minimi non affrettando la narrazione. Niente è superfluo: la fotografia calda e polverosa richiama il western contemporaneo, mentre la colonna sonora, essenziale e dissonante, sottolinea l’instabilità morale del racconto.
Una battaglia dopo l’altra non consola, non salva, non da risposte, ma punge, pretende attenzione, interroga e lascia il segno come uno schiaffo ben assestato, spingendo a chiederci: cosa resta degli ideali, quando la realtà li tradisce? Cosa siamo disposti a sacrificare per proteggere chi amiamo? E soprattutto: quale eredità lasciamo a chi verrà dopo di noi?
Anderson non celebra la resistenza ma la mette in discussione riponendo nelle nuove generazioni, libere dai rancori del passato, la possibilità di trovare un modo di esistere e resistere.
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Emanuela Giuliani
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