Gli 85 anni di Anthony Hopkins nei suoi 5 personaggi più importanti

Anthony Hopkins compie 85 anni, lo fa in forma smagliante, pochissimi attori nella storia hanno dimostrato non solo e non tanto la sua longevità, la sua capacità di rimanere grande protagonista della settima arte ad un’età così artisticamente avanzata, ma anche il suo saper essere trasversale, un simbolo del cinema nella sua accezione più alta da decenni.

E dire che niente lasciava presagire che questo gallese, timidissimo, tutt’altro che un bronzo di Riace, che pareva dovere essere un grande protagonista solo del palco, che sul grande schermo arrivò relativamente tardi, sarebbe diventato il mito che oggi tutti conoscono.

Di personaggi iconici Anthony Hopkins ne ha interpretati tantissimi, ed è davvero difficile scegliere quali siano i 5 più importanti. Quelli che seguono, sono i 5 in cui l’attore due volte premio Oscar ha saputo donarci interpretazioni monumentali e più memorabili, che lo rendono ad oggi uno dei più grandi di sempre nell’arte della recitazione, una delle presenze più carismatiche ed iconiche della storia del cinema.

Hannibal Lecter

Tagliamo subito la testa al toro, tanto sapevamo che questo personaggio non poteva non esserci.

Anthony Hopkins nel 1992 fece il grande salto verso il successo universale e la popolarità nel pubblico mondiale a ben 55 anni, vedendosi assegnato un Oscar sostanzialmente per acclamazione universale.

Il tutto a dispetto del fatto che all’interno de “Il Silenzio degli Innocenti” non apparisse poi tanto. Ma come sempre, la qualità vince sempre sulla quantità, e nessun altro avrebbe saputo fare di Hannibal Lecter il simbolo assoluto del male che è ancora oggi.

Il film di Jonathan Demme ci lasciò infatti in eredità il più famoso serial killer di sempre, una creatura fittizia in cui però già nel romanzo originale di Thomas Harris, si accumulavano le caratteristiche di più carnefici seriali realmente esistiti. Il tutto funzionale per l’attore per creare una sorta di rettile sotto sembianze umane, un uomo gelido, astutissimo, geniale, colto, un cannibale dai modi raffinati e impenetrabili.

Per quanto i due sequel, “Red Dragon” e “Hannibal”, siano stati minori a livello qualitativo, in entrambi Hopkins convinse in modo assoluto, soprattutto nel modo in cui sapeva connettersi al concetto di imprevedibilità e penetrazione psicologica. Solamente un attore della sua grandezza avrebbe saputo creare un personaggio del genere e soprattutto non farsene inghiottire dall’iconicità acquisita, e ciò è avvenuto soprattutto perché a partire dall’anno dopo, egli si dedicò ad altri progetti di enorme valore. Ma questo è il personaggio per il quale sarà ricordato in eterno.

Dr. Frederick Treves

Pochi film hanno saputo commuovere e toccare il cuore del grande pubblico come “The Elephant Man” del maestro David Lynch, biografia sulla tragica sorte di John Merrick, l’Uomo Elefante, afflitto dalla Sindrome di Proteo, che aveva passato quasi tutta l’esistenza a venire umiliato e soprattutto sfruttato come fenomeno da baraccone nell’Inghilterra vittoriana.

Sarà il Dr. Treves a mettere fine a tutto questo, dimostrandosi dotato di un’incredibile empatia, sensibilità e coraggio, in perfetta controtendenza all’ostilità, superficialità e crudeltà della società di cui fa parte.

Se William Hurt nel ruolo di protagonista fu senza ombra di dubbio capace di mettere un piede deciso dentro la storia dell’interpretazione cinematografica, Anthony Hopkins d’altro canto riuscì a dipingere una figura umana tanto convincente perché scevra dalla perfezione, ma animata piuttosto da una nobiltà di intenti, una rettitudine morale, tanto istintive quanto immediate.

Assieme i due grandi attori crearono quello che più che un racconto di riscatto, era la cronaca di una rinascita e assieme della nascita anche di un’amicizia, di un rapporto umano sincero che sapeva andare oltre le apparenze, oltre il dolore e la deformità. Ad oggi è probabilmente il personaggio più commovente, ammirevole e positivo che Hopkins abbia interpretato, tanto più che seppe anche aggirare il problema che sovente porta una figura di questo tipo: la prevedibilità.

Papa Ratzinger

Papa Benedetto XVI se n’è andato da poche ore, e il primo pensiero che a molti cinefili sarà immediatamente venuto in mente, sarà stato proprio per come Anthony Hopkins ce ne dette un ritratto potente, viscerale e carismatico nel bellissimo “I Due Papi” di Fernando Meirelles del 2019.

Al fianco di un altrettanto perfetto Jonathan Pryce, Hopkins costruì un Papa Ratzinger che era simbolo della Chiesa nel suo senso più storicamente persistente, conservatore per antonomasia ma abbastanza illuminato da comprendere che i tempi stanno cambiando, soprattutto capace di mettersi in discussione.

Se Pryce non può che sedurre con il suo Papa Francesco per il suo carisma, la sua ironia, la sua umiltà che protegge un egocentrismo tuttavia distante dall’essere tossico, la sua essenza di Papa popolare e immediato, Hopkins d’altra parte fu capace di essere tremendamente fedele a ciò che era stato il 265º papa della Chiesa cattolica.

Se il primo si mostra vulnerabile, aperto e comunicativo, il secondo però affascina per carisma, franchezza, trasparenza nell’ammettere i propri errori e nel trasmettere soprattutto il proprio conflitto interiore. Altra candidatura per Hopkins agli Oscar, in virtù di un lavoro di costruzione ed evoluzione del personaggio incredibili, della capacità di rendercelo da inviso, lentamente e progressivamente più intimo, trasparente nella sua sofferenza ma soprattutto nel coraggio di prendere una decisione storica, che ancora oggi fa discutere e ha lasciato Indubbiamente il segno non solo nella storia della Santa Romana chiesa.

James Stevens

Non si può nominare in una top 5 dedicata ad Anthony Hopkins anche James Stevens, il personaggio che l’attore interpretò in quel capolavoro che è “Quel che resta del giorno” del grande James Ivory.

Uscito nel 1989, fruttò ad Hopkins la sua prima nomination agli Oscar in qualità di Miglior Attore Protagonista. Era inevitabile del resto, visto che nel parlarci della vita di questo maggiordomo, che ha servito presso la Darlington Hall di un tipico Lord inglese dell’epoca, Hopkins fu capace di farci comprendere in tutto e per tutto lo stringente classicismo imperante nella società inglese, ma più ancora di fare del suo personaggio il portatore di uno spirito di un’epoca.

La mai realizzatasi storia d’amore con la determinata e affascinante governante Sally Kenton (Emma Thompson) assurge a simbolo perfetto del concetto di servitù e di fedeltà assoluta, qualcosa di più vicino forse all’essenza di un Samurai che di un mero maggiordomo di casa. Hopkins fece del suo personaggio un portatore di coerenza fanatica, di malinconia, in una vita passata a servire gli altri senza sapere cosa fosse la felicità, eppure proprio per questo unico nel suo genere.

Interpretazione monumentale per complessità, per raffinatezza, per la capacità di far trasparire ogni possibile emozione da un personaggio che ha passato la vita a nasconderle. A tutti gli effetti, Stevens che vive da testimone diretto tutto ciò che accade nell’Inghilterra dagli anni ‘30 alla fine degli anni ‘50, è soprattutto il simbolo vivente di una passività quasi insopportabile, è il personaggio più complesso che Hopkins abbia mai cesellato con il suo talento.

Richard Nixon

“Gli intrighi del potere – Nixon” di Oliver Stone all’epoca non fu il successo commerciale che ci si aspettava, non dopo lo straordinario impatto che aveva avuto il regista americano con “JFK – un caso ancora aperto2.

Ma la realtà è che questo è un film incredibilmente sottovalutato, in cui Anthony Hopkins riuscì a donarci forse il ritratto più viscerale, potente e storicamente fedele di un Presidente, anche più di “Lincoln” di Spielberg. Lo fece parlandoci di uno dei grandi protagonisti del Novecento: Richard Nixon, Dick the Trick per amici e nemici, l’inquilino della Casa Bianca più torbido, contraddittorio, discusso e inquietante di sempre.

Opera fiume di quelle che oggi sarebbe possibile vedere solamente su Netflix, viene sostanzialmente trainata costantemente da Hopkins, che per calarsi nel personaggio, da sempre simbolo di solitudine assoluta, ne abbracciò l’essenza in modo tanto profondo quanto inquietante sul set.

Il risultato gli fruttò un’altra nomination agli Oscar, nonché il plauso della critica per aver saputo comunicare in toto la straordinaria unione di luci ed ombre che rendono ancora oggi Richard Nixon un personaggio storico tanto affascinante quanto di difficile valutazione. Distante da ogni retorica e ogni paternalismo, questo film è un biopic come non se ne fanno più: onesto, feroce e umanissimo.

Sorretto da un’interpretazione quasi soffocante nella sua potenza, è simbolo di perfezione del parlarci grazie ad Hopkins dell’uomo e assieme del politico, nell’andare in profondità dentro il concetto di potere.

Giulio Zoppello

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